Le esequie si svolgeranno a Roma, sabato 21 luglio, h. 11.00, Chiesa S. Roberto Bellarmino, Via Panama n. 13

A una lettura solo corriva, il curriculum di Matteo Pizzigallo è conforme a quello di tanti altri docenti della sua (e della nostra) generazione, forse l’ultima a potersi fregiare del privilegio di essersi formata seguendo con continuità (e magari sopravanzando, da un certo punto in poi) le orme di Maestri. Matteo è Professore ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “Federico II” di Napoli, insegna anche presso la Scuola militare Nunziatella di Napoli – Pozzuoli e presso l’Università Maria SS. Assunta di Roma. Può vantare, inoltre, precedenti esperienze di docenza presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e presso l’Università degli Studi di Bari.
La sua bibliografia, troppo ricca per proporre in poche righe una sintesi adeguata, riflette da sempre una pluralità di interessi scientifici, sempre confortati – però – da un rigore analitico e da una ineccepibile coerenza disciplinare. Solo per trovare qualche appiglio, nella difficile scalata rappresentata da queste sommesse e inadeguate parole, ricordiamo “La diplomazia dell’amicizia. Italia e Arabia Saudita” (pubblicato nel 2000 e tradotto cinque anni dopo anche in lingua araba), le “Missioni militari italiane in tempo di pace” (del 2003), il “Disarmo navale e la Turchia nella politica italiana” (dell’anno successivo), la “Diplomazia italiana e i Paesi arabi dell’Oriente Mediterraneo” (che risale a dieci anni fa), lo “stuzzicante” e sorprendente lavoro sulle “Storie rimosse. Studi sulla nascita delle imprese pubbliche”. Per chi ha avuto la fortuna di frequentare Matteo anche all’interno del nostro Istituto, che da un certo punto in poi ha occupato – mi sento di dire – un posto privilegiato negli interessi scientifici del collega, piacerà ricordare le più recenti “Sulla via di Samarcanda” e “Una buona politica estera. L’Italia e i Paesi arabi”. Oltre ai “Quaderni del Mediterraneo”, per i quali Matteo aveva propeso per la forma digitale e aveva imposto il libero download, proprio per assicurarne la massima diffusione presso gli studenti e i giovani studiosi. Ognuno di questi lavori è stato, nel corso degli anni, citato, discusso, ripreso e analizzato. Ogni libro “si è mosso”, come diciamo nel nostro gergo. Ma questo era il passato. All’inizio del 2018 Matteo propone all’Istituto un’ulteriore serie di lavori, sempre supportato da un team di allievi invidiato da ogni docente: il secondo volume de “Il Mediterraneo che verrà”, questa volta con l’aggiunta della traduzione in inglese (che ne assicurerà una diffusione ancora più ampia), il più che opportuno – quasi predittivo – lavoro sulla politica estera della XVII legislatura della Repubblica italiana, all’insegna del multilateralismo, infine – a sovrastare e integrare il tutto – la rimodulazione dell’Osservatorio sul Mediterraneo, da lui coordinato sin dall’inizio: una sua creatura e, negli ultimi tempi, anche un “benevolo cruccio”, da quando l’improvvisa insorgenza di una ferita sempre più ampia nel suo fisico statuario ne aveva reso difficile un tutoraggio quotidiano. Eh sì, perché da ieri, 19 luglio 2018, Matteo Pizzigallo non c’è più e le poche righe di sopra dovrebbero essere vergate al passato. Esercizio complicato, tecnicamente insostenibile, per chi ha conosciuto Matteo: il suo vocione ancora rimbomba nelle stanze dell’Istituto, a Piazza Navona; la sua carica emotiva, la sua capacità di affrontare i contrasti con un sorriso pari alla decisione, senza dismettere la capacità di mediazione e il rispetto dell’avversario, in politica come sul posto di lavoro.
Ho amato e continuo ad amare profondamente Matteo perché era un “uomo di parte”, un’eccezione nell’epoca del cerchiobottismo e dei voltagabbana. Aggiungerei che era di una “parte splendida”, ma non è questo il punto: Matteo era un entusiasta della vita, dello studio, della ricerca, della politica. Era un innamorato dello “stare insieme”, del confrontarsi, del vivere le strade e le piazze, con la sua gente, con quel popolo da cui proveniva e che non ha mai dimenticato. Personalmente – mi sia consentito un riferimento personale – conservo ancora, come capolavoro di entusiasmo e di sapere politico, l’sms che mi inviò (all’interno di una lista immagino piuttosto lunga) all’una e un quarto di notte del 25 giugno dell’anno scorso, annunciando trionfalmente: “Martina Franca è libera!”. Si era impegnato in prima persona in un’impresa apparentemente impossibile: riconsegnare al centro-sinistra, il cui candidato partiva dal terzo posto nei sondaggi, il Comune della sua amata città.
Ce l’aveva fatta, anche questa volta, e con l’entusiasmo di un uomo grande, grosso e dolcissimo, comunicava una vittoria che non era la sua, ma della cornice ideologica a cui aveva sempre fatto riferimento. Senza mai perdere la capacità – propria solo dei più saggi – di non prendersi troppo sul serio, infatti concludeva quell’sms firmandosi “il Subcomandante Matteo”. Era solo il giugno 2017, da lì in poi si sarebbe aperto un baratro, un abisso, dal quale ha cercato con tutte le sue forze, accudito dall’amore immenso e dalle energie incredibili dei suoi figli, di Daniela e dei suoi cari, di riemergere.
Matteo non c’è più, in apparenza. Vive in quello che ha fatto, ha scritto, ha detto e ha insegnato. Nell’enorme lascito di cui continueranno a giovarsi studenti, amici, colleghi. In quei progetti che verranno portati a compimento, negli altri che ci saranno, seguendo linee che Matteo avrebbe approvato o che forse avrebbe discusso e criticato, pronto a “destabilizzare” l’interlocutore di turno con una battuta folgorante.
Dopo decenni passati nell’università mi sento di dire – e qui torna una riflessione personale, questa volta conclusiva – che sono pochi i colleghi che possono vantare il privilegio di poter dire di aver abbattuto muri e di aver eretto edifici, con la sapienza di un ingegnere e la perizia di un operaio. Questo privilegio Matteo ce l’ha. Continua il tuo cammino Matteo, la terra ti sarà lieve. Paolo De Nardis
Presidente dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”