Cosa il tessuto associativo può fare per la costruzione di una cittadinanza europea attiva e partecipe? E’ questo l’incipit da cui muove il V congresso nazionale dell’associazione Urbe. Una riflessione aperta anche a tecnici, giornalisti, dirigenti del Terzo settore, manager dell’associazionismo che ha come obiettivo lo scambio di best practices tra realtà associative, giovanili e non, presenti negli Stati membri dell’Unione Europea, e la messa in comune di progetti condivisi.
Non ci sono dati sul numero delle persone che facciano parte di associazioni nell’Unione europea ma, basandoci sull’ipotesi che in alcuni Stati membri esse costituiscano da un terzo a metà della popolazione, possiamo supporre che siano circa cento milioni di persone. Da ciò si evince quanto sia rilevante la ricaduta della loro presenza sia sul piano sociale che economico a cominciare dall’azione che le associazioni assolvono nel rafforzare il senso civico contribuendo fattivamente allo sviluppo di un sentimento di cittadinanza europea quale è menzionata all’articolo 8 del trattato sull’Unione europea. Sul piano economico le associazioni e le fondazioni promuovono da anni i contatti internazionali e la comprensione tra i popoli e interessandosi attivamente al ruolo che i cittadini devono svolgere per forgiare l’Unione europea e per realizzare una vera Europa dei cittadini. La loro esperienza e la loro filosofia insieme alla loro crescente organizzazione a livello europeo le rendono perfettamente idonee a svolgere questo compito.
Sul piano economico recenti ricerche hanno messo in evidenza che in Italia quasi il 2% degli occupati e più del 5% degli occupati nei servizi lavorano per questo settore; nel complesso le ssociazioni/ fondazioni danno lavoro a circa 400.000 persone, prevalentemente nel settore dei servizi sociali; le organizzazioni senza fini di lucro gestiscono il 20% delle scuole materne e più del 40% delle strutture residenziali di assistenza.
A margine di queste considerazioni occorre aggiungere che alcune ricerche svolte negli ultimi anni in questo settore evidenziano anche alcuni cambiamenti sia nel modello organizzativo delle associazioni che nel ruolo che i singoli svolgono al loro interno. Ovvero crescono i modelli organizzativi business-oriented.
La professionalizzazione a cui questo mondo è stato sottoposto negli ultimi decenni sia nel nostro Paese che a livello europeo, anche per la debolezza della politica, permette alle associazioni di offrire servizi oggi sempre più qualificati, anche se indebolisce il loro ruolo di “connettori sociali”, capaci di attirare la partecipazione civica.
Le ricerche condotte da molti soggetti in questo settore dimostrano che il senso di fiducia interpersonale tra gli attivisti delle associazioni è più elevato rispetto al resto della popolazione; lo stesso dicasi per il senso di efficacia personale, in relazione alla percezione soggettiva di essere in grado di intervenire nella sfera politica. In pratica i cittadini acquisiscono il senso del ruolo nella progettazione della vita collettiva.Si conferma così l’ipotesi già avanzata da Tocqueville della partecipazione associativa come scuola di democrazia.
L’Italia civile, senza alcuna connotazione valoriale, ma come il paese dei cittadini che esercitano le virtù civiche, raggiunta l’emancipazione dal collateralismo politico, ha acquisito la consapevolezza del suo ruolo nella società. Questo aspetto, unito alla crisi delle istituzioni dell’intermediazione politica, individua nuovi spazi d’azione che vanno sempre più nella direzione di una politicizzazione del sociale che è alla base delle tante forme di cittadinanza attiva che si registrano nel paese oggi.