di Pasquale Orlando
con la collaborazione di Michele M. Ippolito
Il forte invecchiamento della popolazione, non più accolto come il sognato allungamento della vita e di una esistenza meno precaria – si è trasformata nella metafora del declino dell’intera comunità umana, assumendo nei nostri giorni profili nuovi, al punto che l’essere oggi anziani sembra essere diventato un problema sociale come mai era stato avvertito. Del resto la profonda modificazione del significato e dell’incidenza della conoscenza, oltre che dei modi con i quali essa si forma e si trasmette, ha mutata la stessa rappresentazione della identità sociale e della funzione esercitata dall’anziano nelle diverse epoche e nelle diverse società (con riferimento all’anziano figura di saggio, o depositario delle conoscenze e delle competenze, o simbolo della famiglia e dell’autorità tra le generazioni, o invece soggetto improduttivo privo di risorse proprie, o equiparato al malato per la sua stessa vecchiezza). La questione più urgente – dominata dalla sproporzione che si consolida tra anziani cui corrispondere spesa per pensioni e giovani cui tocca produrre per consentire quella spesa, fino a ipotizzare il conflitto tra generazioni – è costituita dalle conseguenze di una necessità nuova: l’invecchiamento della società si accompagna ad un ringiovanimento di fatto dei singoli, creando una complicazione ulteriore nella relazione istituita tra età anagrafica e condizione di vita.